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trui per dispregio si conosce quanto starebbe lor bene il
saluto, che Filippo Macedone rendè al superbo suo Me-
dico, che gli scriveva: Menecrates Juppiter Philippo sa-
lutem. Fu la risposta: Philippus Menecrati sanitatem;
che fu un farsi medico del suo medico, e inviargli per sa-
nità del cervello una presa d elleboro in un saluto.
Che sotto la lor cappa e l loro mantello stanno le alte e le
più profonde Scienze; come sotto la corteccia delle conchi-
glie, e non altrove, le perle: Che i loro dettati sono le carte del
navigar sicuro, senza di cui nelle Scienze s incontra o naufra-
gio o pericolo: Che i loro insegnamenti sono all ultime mete
del vero, come le stelle a confini dell universo, sì che
Altius his nihil est, hoec sunt corfinia mundi.
Gli altri sono le fonti, essi l Oceano; gli altri Talpe,
essi Linci; gli altri Farfalle essi Aquile; gli altri Mosche,
essi Aghironi.
O Medici, mediam contundite venam.
O se non questo, almeno si tenti d aprire la porta al ven-
to, di che i miseri hanno sì gonfio il capo, e ciò sia facendo
loro metter gli occhi nella luce d alcune chiarissime verità.
1. Ad ognuno le cose sue, per piccole che sieno, sem-
brano grandi. L amore di sè stesso e uno specchio con-
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cavo, che fa che un capello paja un tronco, e una Zanza-
ra un Pegaso. Chi prende lui per giudice, stima le cose
sue come quel Clito stimò una battaglia, navale, in cui
rotte e affondate tre sole, galee de Greci, come s egli
avesse messo o Serse in fuga o il mare in ceppi, da indi,
in poi si fece sempre chiamare col maestoso titolo di
Nettuno.
La Luna, ond è egli, ch essendo di mole più piccola
della Terra ben quaranta volte, sembri a giudicio dell
occhio, uguale al Sole, che pur è maggior della Terra
presso a cento quaranta volte? Senon perchè la vicinan-
za, che la Luna ha alla Terra, la mostra tanto maggiore,
quanto il Sole sembra minore, per esserle più lontano.
Ma nulla v è che sia sì vicino a niuno, quanto sono le
proprie sue cose a ciascheduno; quindi è, che sembrano
oltre misura grandi, e maggiori di quelle d altrui, che,
per essere fuori di noi, e perciò lontane da noi, si perdo-
no in gran parte di vista.
2. I Grilli, paragonati alle Formiche chi dubita che
non sieno Giganti? Chi misura quello che sa, ancorchè
pochissimo, con quello che sa chi non sa nulla, si cre-
derà d essere assolutamente ciò che non è senon a para-
gone dottissimo. Quei che andavano allo Studio d Ate-
ne, dicea Menedemo, v andavano Maestri, vi stavano
Scolari, se ne partivano Ignoranti. Non solo perchè
quanto più s intende ciò che si sa, tanto più s intende
ciò che non si sa, ma ancora perchè trovavano, in quella
fioritissima assemblea de più nobili ingegni del mondo,
confronti al loro sapere tali che a lor paragone credeva-
no di non saper nulla. Questa fu l arte, con che il savis-
simo Socrate dolcemente corresse la baldanza del suo
Alcibiade, che ricco per paterno retaggio e per acquisto
suo a gran copia di beni, ne andava sì altiero, come s
egli fosse stato un Monarca del Mondo, non un privato
d Atene. Gli fece specchio al conoscimento di sè stesso
con una mappa del mondo; in cui trovata l Europa, e in
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essa la Grecia, e nella Grecia a gran fatica Atene, Or qui
(disse) mostrami la tua casa e i tuoi poderi, che non
avendo, come tu vedi, luogo nel mondo, com esser può
che ti mettano in capo spirità disprezzatori del mondo?
Chi si crede d essere nell ingegno e nel sapere una stel-
la di prima grandezza, non si paragoni con le più minu-
te, ma co Soli del mondo, e si vedrà in uno stesso e sva-
nire la luce, e scemare l ambizone.
3. Che uno, dov è grande fra gli altri, voglia esser
maggiore degli altri; dov è de primi, voglia esser solo;
ciò non può soffrirsi in veruno più che già si tollerasse in
quel superbo Pompeo, qui ut primum Rempublicam ag-
gressus est, quemquam animo parem non tulit; et in qui-
bus rebus primus esso debebat, solus esse cupiebat. Per
eccellente, che voi vi siate ogni qualunque professione
di Lettere non perciò siete voi mai una Fenice sola e uni-
ca al mondo, nè un Primo Mobile, che, Senza ricevere
imprcssione, o movimento da cielo superiore, dia il mo-
to e l giro alle Sfere minori. Chi v è che tanto sappia,
che inanzi a lui gli altri non sappian nulla, sì che possa
mettersi in bocca la superba parola del Principe Caifas-
so: Vos nescitis quidquam? La natura non fu sì sterile,
che, formato voi, non avesse stampa simile per altrui: nè
sì povera, che, per far voi ricco d ingegno, lasciasse gli
altri mendici. Perchè dunque vi mirate voi attorno, e
non vi parendo di veder nel mondo chi possa starvi a pa-
ragon di sapere, dite pazzamente a voi stesso quello, che
Deucalione disse alla sua compagna: Nos duo turba su-
mus? Perchè fate il vostro ingegno un Procuste, e volete
che ognuno s aggiusti alla statura del vostro giudicio,
come misura del retto; e perciò troncate i piedi a chi vi
passa, e gli stirate a chi non v arriva?
Ma quando ben voi foste d ingegno e di sapere il pri-
mo fra i primi non è egli gran bassezza di cuore e viltà d
animo l essere perciò panegirista di sè stesso e disprzza-
tore d altrui? I torrenti, udite voi come fremon d intor-
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no e cozzando co sassi romoreggian sì forte, che sem-
brano portare non un torrente d acqua ma un mare? e
pur molte volte non hanno fondo d un palmo, benchè
abbiano letto d un miglio. All incontro i fiumi reali non
men profondi che vasti, con quanta, dirolla, modestia si
portano al mare? Non sode da essi un fischio, che, avvisi
altrui quanto profondo abbiano il seno, ampie le rive,
limpida l acqua, rapido il corso: si vanno mutoli e quie-
ti. Chi pesca poco fondo (nell ingegno molte volte è ve-
ro ma nel giudicio sempre) è intollerabilmente strepito-
so, e con le lodi sue e col dispregio altrui assorda il
mondo con che, senza avvedersene, tanto si pruova più
vile, quanto più s aggrandisce; perchè, secondo l Afori-
smo di Simmaco in magnos animos non cadit affectata
jactatio.
Ma perciochè proprio de superbi ingegni è usare non
solo l alterezza in terra, ma anche la curiosità in cielo,
nel prirno ingiusti con gli uomini a cui vogliono essere
senza merito superiori; nel secondo empj con Dio, il cui
essere, lo cui azioni bilanciano al peso e misurano al pas-
so del corto intendere che hanno; eccovi sopra ciò la se-
guente considerazione.
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Due gran mali de Miscredenti: cercar le cose della Fede con la
curiosità della Filosofia, e credere le cose della Filosofia con la
certezza della Fede?
I Geografi nel disegnar che fanno le tavole globi della
terra, poichè son giunti a confini de paesi fin allora
scoperti, non avendo cognizione de gli altri che restano,
hanno per costume di tirare alcune non ben ferme e si-
cure linee di sottilissimi punti, e su lo spazio che, rimane
scrivere: Terra incognita. Di quest usanza de Geografi
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si servì molto acconciamente Plutarco per iscusa della
sua penna, se, presa a scrivere la Vita di certi antichissi-
mi Eroi, non potea tutte ad una ad una divisare le im-
prese, con che si renderono grandi nel nome; e nella glo-
ria immortali: perochè l antichità, e la dimenticanza che
le va dietro, molti paesi incogniti, molte parti della lor
vita occulte e nascose tenea.
Ciò che delle azioni di quegli antichi valenti uomini
disse Plutarco, è ugualmente vero di tutto il gran com-
plesso delle cose, che possono da nostri ingegni sapersi.
Molto v è di conosciuto, molto d incognito: anzi non
incognito solamente, ma che conoscere non si può, fin
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