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signor X era il protagonista apparente, ed il mio amico
quello vero. Mia madre, esperta del mondo, per egoismo
e pavidità di soffrire, credeva a me, ragazza di sedici an-
ni, che conoscevo soltanto un collegio. Mentre il signor
X faticava per farsi abbandonare, faticavo a sospingere
mia madre verso di lui, e purtroppo vincevo.
Le notti ch io passai allora, le tetre notti di quella ca-
mera verde, io assonnata e depressa, lei come febbrici-
tante, s io avessi l arte di darvene un idea precisa, forse
sareste meno aspro nei vostri giudizi, piú incline alla
pietà. Ogni responso ch io fornivo a mia madre, era pie-
no di falle, ed incaricandosi inoltre quel maledetto si-
gnor X di smentirmi, essa mi chiamava in camera non
piú con aspetto amichevole, ma di creditrice inasprita.
Piú che un colloquio era un interrogatorio; il mio im-
paccio cresceva con l evidenza del vero; ero ridotta a di-
fendermi ed a ripetere, in modo testardo e monotono;
t ho detto che ti vuol bene; t ho detto che ti vuol bene.
In quei giorni ripresi un abitudine infantile, di non guar-
dare in faccia chi mi parlava, ma di tenermi ostinata-
mente voltata, fissa in un punto lontano, e quasi sempre
una finestra. Nella camera verde cominciava a formarsi
la stessa aria di repellente tristezza di quand ero bambi-
na. Qualche volta cercavo isolamento e conforto leggen-
do a caso in un centinaio di libri, che mia madre teneva
e aumentava continuamente delle novità che giungeva-
no fino alla nostra cittadina. Ma anche quella lettura fi-
niva con il disgustarmi; i libri parlavano tutti di amori
immaginari, come i discorsi di mia madre, con le parole
di madre. E allora, quando potevo chiudermi in camera,
preferii, come in collegio, alleviare il mio animo in un
diario quotidiano. In esso passava tutta la mia semplice
vita, dall infanzia a quei giorni; e anche ora, guardando-
lo, e rileggendolo con lagrime, penso che senza il suo
aiuto né avrei potuto capirmi, né sostenere tante prove.
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Letteratura italiana Einaudi
Guido Piovene - Lettere di una novizia
La mia prima e finora silenziosa rivolta non dipende-
va però solamente dalla stanchezza dei miei nervi, ma
anche da un altra influenza, che mi pareva piú nobile, e
ch io cominciavo a subire. L intransigenza di Giuliano,
la sua astensione da ogni atto e parola audace, la castità
che adesso capisco, allora soltanto intuivo, nell espres-
sione del suo viso, non erano ormai senza effetto. «Che
serietà!» io dicevo a me stessa. «Che nobiltà di caratte-
re! Potrò mai somigliargli?» Il mio amore per lui non mi
disponeva a indulgenza per quello di mia madre, ma
piuttosto a giudizi crudi e a condanne morali. Il ritegno
con cui mi trattava Giuliano mi faceva credere infatti
che il nostro amore fosse l opposto di quello a cui assi-
stevo ormai con ostilità: un alleanza di anime tenere e
gravi e avverse alla passione. Non ammettevo piú di ve-
nire turbata da pensieri inferiori e diversi dai miei. In
me si formava cosí, o almeno prendeva chiarezza, la co-
scienza morale, specialmente accanto a mia madre e nel
supplizio della camera verde. «A quale supplizio» pen-
savo «osa sottoporre sua figlia, senza pensare che
anch io sono un essere umano! Queste cose» insistevo
«osa narrare a sua figlia!» Rinasceva in me, divenuta co-
sciente sotto la doppia influenza della stanchezza e
dell amore, la tendenza contraria alle fantasie passionali,
che già mi aveva resa intransigente in collegio. «Non ca-
pisce» dicevo «ch io aborro con tutta l anima da questa
vita di avventure, ch io sono positiva, quasi arida? Io vo-
glio soltanto la quiete!» L aspetto di mia madre mi pare-
va poi tale che il giudizio severo era inasprito da una
contrarietà fisica. I suoi capelli infatti erano secchi, sem-
pre un po scarmigliati, perché non si piegavano alla pet-
tinatura; gli occhi segnati e spenti, quando non scintilla-
vano d ira e di eccitazione; se mi chinavo a baciarla,
sentivo il suo fiato caldo. Quanto spregevole la passione,
pensavo, se cosí l aveva mutata, dalla fresca mollezza di
quando ci eravamo intese! E mentre mia madre tornava
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Guido Piovene - Lettere di una novizia
quella della mia infanzia, in me tornava la tristezza di al-
lora. Se cercavo la solitudine, mia madre mi inseguiva,
se volevo fantasticare, mia madre veniva a togliere ogni
attrattiva alle mie immaginazioni. Quante volte guardai,
ma con sguardi furtivi, quasi trafugati, le statue, la gag-
gia, il ciliegio, che mi invitavano a riprendere la conver-
sazione interrotta! Una sera provai un desiderio cocente
di nonna Giulia. La camera in cui dormivo si empí della
sua presenza; la sua poltrona si animò; mi chiusi a chiave
come quand ero bambina e scrivevo al Signore. Davanti
al suo ritratto mi disperai della sua morte. Allora soltan-
to capii che cosa fosse quella donna per me. «Tu sola mi
hai voluto bene» le dicevo piangendo «e io voglio bene a
te sola»; ripensando a quegli anni in cui mi era parso di
esserle meno affezionata, e alla sua morte solitaria, mi
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